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Un viaggio per vedere come si può vivere di solo spirito...e un po' di té, dahl e chapati. In bus da Srinagar nel Kashmir indiano fino a Leh in Ladakh da dove partiamo per un trek di una settimana attraverso la Markha Valley.

Caldo, Dany e Luka.

7 - 28 Agosto 1998

La partenza non è delle migliori: andata prevista Milano - Francoforte - Kuwait City - Delhi. Un ritardo della Lufthansa sul Milano - Francoforte ci fa perdere la coincidenza sul Kuwait City - Delhi. Rimaniamo bloccati in un albergo di vetro di Kuwait City, impossibilitati ad uscire. Fuori un caldo allucinante (52° all'ombra), il nostro speck e il nostro parmigiano si sono sciolti.
Il giorno dopo riusciamo a volare verso l'India, destinazione Bombay. Da lì prendiamo un aereo per Delhi, ma per Leh, capoluogo del Ladakh, è tutto pieno. Ci rimangono due soluzioni: andare a Leh in autobus o prendere un aereo per Srinagar (capoluogo del Kashmir, dove si sparano da 20 anni, tanto per intenderci) e da qui in autobus andare a Leh. Scegliamo le pallottole.
Arrivati a Srinagar, l'aereoporto è sotto assedio, militari ovunque. Il giorno prima l'esercito indiano ha ammazzato due combattenti locali. Il comandante prende un taxista e, dopo averlo controllato e ripassato, ce lo affibia. Fuori, l'India, come me la immaginavo.


Srinagar, Kashmir. Le strade poco prima del coprifuoco e il mercato di spezie. 

A Srinagar dormiamo su una houseboat sul Lago Dan. La casa è splendida.
Aslam, il padrone, dorme invece con la famiglia in una baracca galleggiante subito dietro e seminascosta. La mattina la bruma del lago e le barche (shikara) spinte lentamente a mano infondono alla città una calma surreale.

Sopra l'houseboat sul Lago Dan dove abbiamo dormito. A destra e sotto immagini del lago Dan alle prime luci dell'alba

Il mattino prendiamo un autobus per Kargil, dobbiamo attraversare la catena dell'Himalaya e scendere nello Zanskar. Le valli di coltivazioni di riso lasciano il posto ai campi d'erba e quindi ai boschi di abete. Il paesaggio è sempre verde, la strada sale. Arriviamo al passo di Zoij (Zoij La) a 3529 metri. Dall'altra parte, lo Zanskar, il paesaggio è lunare, la terra è argillosa e brulla.  E'evidente che qui i monsoni non arrivano, vengono fermati dall' Himalaya, il verde si raccoglie dove l'acqua scorre,il resto è roccia e polvere. E proprio in questo posto inospitale passa il confine conteso da anni da India e Pakistan. Passiamo numerosi posti di blocco con relativi controllo passaporti. Centinaia di soldati, cannoni e bunkers fincheggiano la strada che porta a Kargil. La gente del luogo dice di essere tranquilla.  Un mese fa ci sono stati un centinaio di morti, ma questo non importa. Finalmente la sera arriviamo a Kargil: è una città distrutta da anni di guerra. Desolazione è l'unica parola che mi viene in mente per descriverla. Mangiamo riso e carne di montone per 100 rupie e dormiamo in una topaia in tre su un letto da due.
Il mattino presto prendiamo l'autobus per Leh. La strada che percorriamo è la più alta dell'Himalaya (supera due passi ad alta quota, uno dei quali a 4091 metri, il Photu La) e i tornanti sui quali si incrociano migliaia di camion che trasportano la merce tra il Kashmir e il Ladakh sono scavati in questa roccia friabile a centinaia di metri dal fondovalle (non consiglio assolutamente il viaggio a chi soffre di vertigini). Tuttavia il paesaggio è spettacolare, soprattutto il contrasto delle rocce rosse e viola con le esili striscie di vegetazione. Ad un certo punto la strada comincia ad essere asfaltata, i lavori sono in corso: alcuni ragazzi sul bordo della strada spaccano i sassi per farne della ghiaia, altri bruciano in piccole vasche l'asfalto per scaldarlo e miscelarlo alla ghiaia, quindi viene steso a mano con alcuni rastrelli  e spianato con una schiacciasassi i cui rulli sono raffreddati a mano con degli stracci umidi. I poveri ragazzi, il paesaggio arido e il fumo e la puzza del catrame ne facevano un girone dantesco senza possibilità di uscita...ma almeno loro avevano un lavoro. Finalmente scendiamo nella Valle dell'Indo, finalmente in Ladakh con i suoi monasteri, i chalten, i muri mani e le preghiere che sventolano


Alcune immagini della strada percorsa da Kargil a Leh. Un incrocio con un camion può essere problematico. Nel nostro caso i due mezzi si toccavano sopra. E' stato dunque necessario sollevare con dei sassi le ruote sul lato destro del bus per poter passare.


A Leh alloggiamo da Asia Guest House, un posto molto silenzioso con gente veramente cordiale. La cuoca, bravissima, ci ha cucinato riso con cipolle, patate e ceci. Le camere sono molto belle e pulite, i cessi...beh, quelli sono in stile tibetano, niente acqua, una bella fossa biologica sotto la casa ma almeno con la carta per pulirsi. Sempre meglio che nel resto dell'India dove ci si pulisce con le dita che vengono poi sciacquate aprendo (si spera con le dita dell'altra mano) il rubinetto dell'acqua in basso di fianco al cesso
Il giorno dopo visitiamo i monasteri (Gompa) di Lamayuru, Alki e Likir. Assistere ad una funzione buddista è una cosa che non si può perdere. L'ambiente durante la lettura delle preghiere è permeato di sacralità dappertutto, il coinvolgimento è totale. Nonostante la concentrazione e la dedizione durante le preghiere i monaci ci sorridono quando entriamo un po' titubanti e ci fanno cenno con il capo di entrare. I monaci bambini nel frattempo giocano con dei noccioli di albicocca. Ho l'impressione che ognuno in questo paese è libero di fare quello che si sente di fare, quello che è meglio per lui e per la sua anima.

Intorno ai monasteri ci sono sempre un sacco di bambini. Passiamo con loro qualche ora, scattiamo un po' di foto e promettiamo loro di mandarle una volta tornati in Italia (p.s. lo abbiamo fatto per Natale, ma non sappiamo se sono arrivate)

Luka e Dany assieme ai bambini del monastero di Likir

Markha Valley Trek

Il 15 agosto partiamo in compagnia di due guide locali che non parlano che l'indiano, battezzate da noi cooky man (addetto a cucinare) e pony man(addetto agli animali da trasporto), un mulo, Vincenzino, tre cavalli, Orazio, Clarabella e Abdul., e 200 kg di ferraglia tra cui fornello da campo in ghisa, piatti in acciaio, vassoio per il té eccetera. Non c'è scelta, o si va da soli o alla loro maniera.  All'inizio il mio morale è sceso sotto gli scarponi, il nostro trekking si era trasformato in una passeggiata per signore dell'epoca coloniale.  In realtà noi eravamo liberi di andare avanti ma la loro andatura lenta ma costante ci relegava sempre in ultima posizione. In più il fatto di stare con loro ci permetteva di entrare in contatto con la poca gente che ancora vive in questa valle sperduta, senza contare che abbiamo marciato per giorni senza il peso di tenda e viveri. Alla fine ho accettato di buon grado questa soluzione e la consiglio anche a chi vuole intraprendere lo stesso itinerario.


1°giorno: Spituk - Jingchan.
4 ore di cammino su una strada pianeggiante a circa 3600 m di quota, noiosa se non fosse per qualche guado.

2° giorno: Jingchan - Shingo.
il sentiero lascia la valle di Jingchan e arriva al passo Ganda-La a 4920 m. Non siamo mai stati cosi in alto. La vista degli zsuu, un incrocio di uno yak e una mucca, ci fa dimenticare la fatica.  Arriviamo a Shingo a 4150 m dopo 9 ore di cammino.

3° giorno: Shingo - Markha.
Attraversiamo le gole di Skiu, un piccolo gompa sul percorso e finalmente scendiamo nella Markha Valley. Il sole è cocente, fa molto caldo. In una specie di malga ci offrono del té e delle albicocchine squisite. In Ladakh la parte migliore dell'albicocca è considerata il nocciolo, noi comunque continuiamo nelle nostre tradizioni e abitudini. A Markha (3 case lungo un torrente a 3800 m) arriviamo dopo 8 ore di cammino. I bambini del villaggio ci vengono incontro, è bello stare con loro.

4° giorno: Markha - Nimaling
Stanotte Dany è stata male, infezione intestinale e febbre. Si decide di caricarla su un cavallo e di prenderci i nostri zaini. Una serie di guadi impegnativi ci costringono a procedere in mutande e sandali, fondamentali i bastoncini. I cavalli e il mulo passano senza problema. Si comincia a salire e fa molto caldo, Dany con i cavalli è avanti di un'ora. Arriviamo a Nimaling a 4700 m dopo 9 ore di cammino.
5° giorno: Dal passo si può salire sul Kang Yatze a 6400 m, non siamo attrezzati, vediamo fin dove possiamo arrivare senza ramponi. Dany, nonostante la sua buona volontà,è troppo debilitata. Partiamo io e Luka e arriviamo insieme fino ai ghiacciai a 5200 m, io proseguo fino all'anticima ovest sulla neve del ghiacciaio, poi mi è impossibile continuare. Sono a 5800 m, non sono mai stato così in alto, il panorama sulla catena dell'Himalaya è comunque impagabile.

6° giorno: Nimaling - Sumdo.
Raggiungiamo il passo Konmaru La a 5150 m e poi scendiamo lungo delle gole molto belle. Niente ci ferma per un bagno gelido sotto una cascata, mentre i cavalli ci sorpassano irremediabilmente anche oggi. Dopo 8 ore arriviamo a Sumdo. Chaval (riso), dhal (lenticchie al curry) e chapati (una specie di piadina) ci aspettano per il 6° giorno consecutivo, per fortuna abbiamo il nostro grana e lo speck.
7° giorno. Sumdo - Hemis.  Finiamo il trekking con la visita al gompa di Hemis. Una jeep ci riporta a Leh. Al gompa di Spituk un monaco ci offre il té locale, con burro di yak irrancidito e sale, è una specie di brodo, più di una tazza è impossibile berne.
La sera a Leh festeggiamo con kulcha con cipolla (è un chapati più saporito), naan con formaggio (chapati fritto) e pollo Tandoori.


Sopra, immagini del primo giorno. Si percorre il primo tratto pianeggiante della valle dopo Spituk. Sotto un chorten lungo il cammino verso Shingo



Di fianco in compagnia ancora di bambini in un villaggio vicino a Markha. Sopra il Kang Yatze.

Il ritorno verso Delhi lo facciamo in autobus, non sappiamo quello che ci aspetta. Dobbiamo riattraversare la catena Himalayana, la strada sale fino a 5328 m, il passo Taglang La (il secondo passo più alto del mondo). Ogni tanto qualche posto di blocco, ma il paesaggio è abbastanza monotono. Verso sera l'autobus raggiunge uno spiazzo polveroso con alcune tende da campo, siamo a Sarchu. Ci fanno scendere, ci radunano nella tenda cucina e ci danno del té, chaval, dhal e chapati, più che un viaggiatore mi sembra di essere un prigioniero. Per dormire ci accucciamo in una tenda lercia su un materasso, avvolti almeno nei nostri sacchi a pelo. Il giorno dopo viaggiamo ancora per valli a 4000 metri di quota, il tempo è però piovoso e il paesaggio è alpino, se non fosse per le vacche e i monaci arancioni per la strada potrei dire di essere in Valle d'Aosta. Arriviamo a Manali, la Courmayeur degli indiani, nonostante sia fuori stagione è molto affollata. Mangiamo da Sher-e-Punjab dell'ottimo Kulcha, ottimi i milk  shake al mango. Il giorno dopo partiamo per Delhi, l'autista è più pazzo del solito, infatti, attraversando un paesino investe un pastore: è il caos, in India non si chiama la polizia, si regola il conto direttamente sul posto. Gli amici del pastore salgono sull'autobus, tirano giù l'autista e lo linciano. Nessuno fiata, il paese è solidale con il pastore. Siamo esterrefatti. Dopo due ore arriva la polizia, prende le misure e confisca autobus e autista. Un altro autobus con un altro autista per fortuna ci viene a prendere per proseguire il viaggio. Finalmente arriviamo a Delhi.

Delhi è il caos per eccellenza, l'atmosfera è impregnata di olio di miscela per la moltitudine di motorini e tricicli, il traffico ha probabilmente una sua certa logica, che comunque non capisco. A tutto questo si aggiungono anche le mucche che, beate, gironzolano lentamente per la città. La sera prima di partire troviamo un pub dell'era coloniale e davanti ad una pinta di birra ci riappropriamo delle nostre vecchie abitudini.